La definizione di abitudine è piuttosto chiara ed ormai condivisa da tutti, non solo dagli scienziati che si occupando di questi argomenti, ma anche dall’”uomo comune”.
Le abitudini sono risposte comportamentali automatiche ad uno stimolo, che si sviluppano e si fortificano attraverso la ripetizione del comportamento in contesti coerenti tra loro.
E sono davvero importanti per la nostra quotidiana sopravvivenza, perchè ci consentono di “risparmiare” energie (fisiche, mentali, economiche) in azioni quotidiane e che facciamo molto spesso, che altrimenti richiederebbero moltissimo impegno.
L’essere umano tende al risparmio, è “programmato” per risparmiare le proprie risorse cognitive, e laddove una azione diventa così frequente da consentirlo, crea una risposta automatica che ne richieda solo una piccolissima quantità, un automatismo che si attiva senza quasi alcun intervento consapevole a fronte di uno stimolo esterno in un determinato contesto.
E’ evidente che tanto più il processo è complicato, tanto maggiore è il vantaggio di trasformarlo in abitudine.
Così facendo infatti si risparmia una grande dose di risorsa cognitiva ed inoltre si aumenta contemporaneamente la velocità di risposta ed elaborazione.
Per fare un esempio, tutti coloro che, come me, hanno la patente di guida da più di qualche anno si ricordano bene le prime uscite con l’istruttore, e magari hanno ancora in mente la tensione che si provava durante i primi “giretti” con un genitore che si profondeva in saggi consigli e moniti imperativi. Nessuno però ha consapevolezza della tensione che l’ha attanagliato quanto questa mattina è salito in auto ed è venuto al lavoro: nonostante i pericoli esterni siano gli stessi, e nonostante l’attenzione e le azioni messe in campo fossero le stesse (ci auguriamo) del primo giorno di guida (sistemare lo specchietto, mettere la freccia nei cambi di direzione, guardare il retrovisore nelle manovre, etc.) le risorse cognitive per metterle in campo sono state molte di meno.
In molti casi la pratica migliora l’abitudine e la rende più efficiente, più veloce, meno faticosa, meno impacciata, fino a trasformarla in un automatismo.
Se invece questa mattina foste saliti in un auto presa a noleggio e quindi differente da quella che utilizzate quotidianamente, allora la vostra attenzione alle azioni di base (specchietti, leve, pulsanti, etc) sarebbe stata superiore, perchè in un contesto non coerente l’abitudine non avrebbe funzionato: passare ad esempio dal cambio manuale al cambio automatico potrebbe far rinascere tutte le tensioni e le preoccupazioni delle prime guide con l’istruttore, non è forse così?
Ognuno di noi attua quotidianamente un certo numero di abitudini, che sono la trasformazione in comportamento automatico di azioni ripetute per un certo numero di volte, nello stesso ambiente e dietro lo stesso “stimolo”, a seguito dello stesso frigger. E questo ci permette di economizzare sulle nostre risorse cognitive, velocizzando notevolmente il processo di elaborazione delle informazioni.
Nel momento in cui un comportamento diventa abitudinario, assume maggiore importanza il concetto di automaticità piuttosto che quello di frequenza di emissione, che rimane prioritario nella fase di consolidamento.
Probabilmente ciascuno di noi è capace di andare in bici, perchè lo ha imparato da piccolo, anche – spesso – a costo di qualche caduta. Ebbene, il fatto che da anni tu non vada in bicicletta non significa che distanza di anni tu non sia più capace, ma se avessi interrotto la pratica prima che questa si fosse trasformata in abitudine, probabilmente salendoci ora potresti avere qualche difficoltà.
In presenza di un’abitudine, le intenzioni del momento hanno poca influenza sull’emissione del comportamento: alcuni eminenti ricercatori sostengono che, laddove la volontà sia in conflitto con un’abitudine, è più probabile che il comportamento proceda in linea con quest’ultima.
A tutti noi è capitato di arrabbiarci, di alzare i toni, di uscir dai gangheri. Ci sono però delle persone che hanno trasformato questa occasionale reazione in una abitudine che utilizzano spessissimo: avete presente quelle persone che sono sempre sull’orlo di una crisi isterica? ebbene, anche qualora decidano di affrontare una riunione, una discussione, un incontro con calma e pacatezza, ben presto arriverebbero a sbraitare ed urlare, perchè l’abitudine a farlo è molto più forte della volontà di resistere.
L’abitudine si attiva molto spesso in seguito ad un trigger, cioè ad uno stimolo che ci colpisce, che ci arriva addosso , sia dall’esterno (ambiente) che dall’interno (percezioni, emozioni, pensieri, idee).
Uno dei trigger più frequenti è lo stress, che può essere fisico, emotivo o mentale e può sorgere in seguito a stanchezza, litigi, una brutta giornata al lavoro o molto spesso anche solo un pensiero negativo. Questo tipo di trigger innesca spesso abitudini come il mangiare in modo sregolato, anche in assenza di fame, ed è responsabile di molti comportamenti automatici.
Gli scatti d’ira immotivati, la suscettibilità….siamo davvero convinti di avere un caratteraccio, o di “essere fatti male” quando invece siamo così perchè abbiamo mutuato abitudini poco efficienti e poco efficaci…
A proposito di mangiare, in questo sono un vero esperto. In psicologia, l’abitudine di mangiare non per fame ma in seguito ad uno “stimolo condizionante” cioè ad un determinato trigger, è noto come condizionamento classico o riflesso condizionato, come dimostrò Pavlov con il famoso esperimento sui cani.
L’abitudine scatta come un potente automatismo in seguito ad un trigger, in una determinata situazione. Prendere consapevolezza di questo, purtroppo però, non basta a migliorare.
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